Pochi giorni fa ho visto Stanlio e Ollio, un film biografico sulla vita del celebre duo comico; che si concentra principalmente sugli anni finali della loro vita.
Il film, senza farmi gridare al capolavoro, mi è piaciuto. Ho molto apprezzato il suo non accanirsi sugli aspetti drammatici o i difetti dei due protagonisti, senza cercare allo stesso tempo di nasconderli.
Ben consapevole che si tratta di un film e che non si può veramente sapere come fosse un periodo storico, figuriamoci una vita, senza esserci stati, la loro storia mi ha fatto riflettere su alcuni punti.
// Seguono spoiler
E’ pericoloso andare da soli
Stan Laurel (Stanlio) e Oliver Hardy (Ollio) erano entrambi uomini di grande talento, a modo loro hanno definito un epoca, e avevano un solido repertorio professionale anche come “solisti”.
Eppure uno dei punti chiave che ha portato al loro declino è stata un singolo momento in cui, forti del successo, non sono riusciti a ragionare e restare uniti come gruppo.
Stan Laurel in particolare, con la sua fortissima personalità e convinzione di poter andare avanti da solo, gli altri “avrebbero seguito”; senza tenere conto della situazione e dei desideri di Oliver Hardy, ha praticamente rovinato una carriera con la scelta di andarsene nel modo in cui l’ha fatto. Non ha comunicato a sufficienza.
Avere molti motivi validi per le sue azioni, essere un grande professionista, un grande artista; non è stato sufficiente. Non ha saputo riconoscere o dare il giusto valore al gruppo con cui era arrivato al successo.
Questo è valido sia tenendo in considerazione Oliver Hardy, sia parlando dello studio stesso. Che accordo economico avrebbe potuto raggiungere se non si fosse messo in totale contrasto? Non sapremo mai se fosse realmente possibile, ma di sicuro mettersi in aperta e totale opposizione ha sbarrato la porta a qualsiasi possibilità che lo fosse.
Non poter fare a meno di qualcosa è rischioso
Oliver Hardy, all’inizio del film, fa capire chiaramente che a causa di vizi di gioco e per altri motivi è in una condizione per cui non può fare a meno di quel lavoro, nonostante l’estremo successo.
Si è messo in una condizione, evitabile, in cui è costretto a dipendere da qualcosa così pesantemente da accettare anche condizioni svantaggiose, o da dover essere costretto a non seguire Stan Laurel in quella che sarebbe stata probabilmente una svolta positiva nella sua carriera.
Ovviamente non si può “non dipendere da niente”; dal cibo, al lavoro ai rapporti umani… si vive in gruppo. Ma paradossalmente ogni qualvolta ci si mette o ci si trova in una situazione per cui “non si può disperatamente farne a meno” (che sia cibo o lavoro), il disastro è praticamente assicurato.
Questo è sempre vero. Che si tratti di professionisti che non possono “lasciare andare” dei clienti con cui sono in costante rimessa o di persone che non riescono a fare a meno di pessime abitudini.
Non usare quello che ti è stato fatto (o pensi che)
La pellicola pone particolarmente i riflettori sul rapporto di genuina amicizia tra i due protagonisti. Un’amicizia reale, che non è priva di problemi e discussioni.
Una delle cose che mi ha colpito di più stata la scelta di Stan Laurel di non proseguire senza il suo partner. Aldilà della fedeltà e grande amicizia dimostrata (un legame profondamente affettivo) è importante notare come sarebbe stata l’occasione perfetta per “rendere pan per focaccia” al partner che l’aveva abbandonato (almeno ai suoi occhi) tanto tempo fa.
Ma non l’ha fatto, e mi piace pensare che alla fine le cose siano andate nel migliore dei modi possibili proprio per questa sua scelta.